The Legend of Zelda: Tears of the Kingdom

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The Legend of Zelda: Tears of the Kingdom

Non è evidente valutare un titolo mastodontico come The Legend of Zelda: Tears of the Kingdom. Nato come DLC per il primo capitolo, per stessa ammissione di Nintendo, Tears of the Kingdom deve sostenere l’elevata asticella qualitativa del medesimo, nonché rispondere alle aspettative dei fan, i quali avevano, a suo tempo, reagito con un certo scetticismo (noi inclusi). Vale a dire, in breve, che il gioco è chiamato a migliorare la formula introdotta in Breath of the Wild.

Sin dal lancio di Nintendo Switch, la leggenda di Zelda ha avuto un ruolo fondamentale nel successo della console. The Legend of Zelda: Breath of the Wild non solo ha spinto le vendite iniziali della ibrida Nintendo, ma ha anche dettato nuove regole per gli openworld, definito un nuovo formato per la storica serie, ottenuto un successo simile all’epoca Ocarina of Time e, non di meno, mostrato i “muscoli” della piccola console. Nel 2019, per l’appunto, Nintendo svela un nuovo teaser trailer del successore di Breath of the Wild, necessario per risollevare il successo di Nintendo Switch. Il seguito, inizialmente criptico, lascia presagire un ambiente cupo, ciò grazie al risveglio di una misteriosa mummia. Ebbene, nel corso degli anni i trailer dedicati al nuovo Zelda sono sempre stati assai parsimoniosi sul titolo, fino ai primi mesi del 2023, in cui il produttore esecutivo Anouma annuncia il completamento dello sviluppo (fase Gold) mostrando, per l’occasione, uno spezzone di gameplay su un’isola sospesa a mezz’aria. Abbiamo avuto l’occasione di provare tale demo nella nostra anteprima, testando con mano le nuove abilità di Link, le quali si rivelano fin da subito interessanti. Le ambientazioni ci sono parse fin da subito graficamente migliorate, i nuovi enigmi appaganti e in grado di mettere alla prova il giocatore. Insomma, Tears of the Kingdom ci aveva comunque stupito, visto l’asticella qualitativa impostata da The Legend of Zelda: Breath of the Wild, pur lasciandoci qualche – pur pacifico – dubbio. Breath of the Wild lo avevamo considerato un gioco qualitativamente perfetto nella nostra recensione pubblicata, a suo tempo, nel 2017, pur non avendo risparmiato un paio di critiche. Una fra queste era la “bassa” difficoltà degli enigmi per gli standard della serie: da una parte, i 120 sacrari erano piccoli pezzi di dungeon che non offrivano la stessa profondità dei templi in giochi passati; dall’altra, i quattro principali dungeon dei colossi sacri erano, oltre simili fra loro, piuttosto intuitivi da portare a termine. The Legend of Zelda: Tears of the kingdom riuscirà ancora una volta a stupire?

Raul, primo Re di Hyrule, l’Isola delle origini e il ritorno del Re dei demoni

L’avventura debutta nei panni di Link e Zelda. In seguito alla calamità Ganon, scoingiurata nel primo capitolo, un misterioso miasma emerge ed avvolge il castello di Hyrule. Durante l’esplorazione delle segrete del castello, Zelda scopre dei misteriosi geroglifici, i quali rappresentano la fondazione del regno di Hyrule. Stupita da questa fantastica scoperta archeologica, sempre più incuiriosita Zelda si reca nelle buie profondità dei sotterranei. In loco, i nostri protagonisti scorgono una misteriosa mummia avvolta dalle tenebre, la quale sembra essere sigillata da un misterioso potere. Il sigillo, tuttavia, viene spezzato, a sua insaputa, da Zelda e viene pertanto aggredita dal miasma tenebroso. Solo con la protezione di Link, la medesima ne esce incolume. Egli però, facendo da scudo umano alla principessa, perde tutti i cuori e il vigore accumulato nella prima avventura. La Master Sword non è da meno, la stessa è andata letteramente in frantumi, così come l’uso del braccio destro di Link. Nel frattempo, Zelda scompare in una misteriosa luce. Link, ormai solo e dato per spacciato, viene salvato in extremis da una misteriosa mano destra, la quale prende il controllo dell’arto maledetto dalla mummia, quest0’ultima rivelatosi essere il Re dei demoni. Dopodiché, iol giocatore approda inerme nell’Isola celeste delle origini, emersa in seguito al risveglio del Re dei Demoni. Sul posto, un misterioso spirito ci attende per guidarci nei primi passi dell’avventura. È lo spirito di Raul, primo Re di Hyrule, il quale si identifica come il legittimo proprietario del braccio destro che ha salvato Link. Con la Master sword perduta, il vigore azzerato e la perdita di tutto l’equipaggiamento, Link è costretto ad affrontare le avversità dell’isola, popolata da misteriosi Golem, creati dalla razza perduta Zonau. Come in Breath of the Wild, l’Isola è strutturata esattamente come l’Altopiano delle origini: ci sono quattro sacrari da affrontare i quali sbloccheranno le quattro inedite abilità di Link. In Tears of the Kingdom le abilità che prima si attivavano con la Tavoletta sheika, ora, vengono catalizzate nel braccio destro di Link e attivate mediante quest’utlimo. Messo alla prova dall’isola, Link deve trovare la principessa Zelda, la quale sembra rifiugarsi nel Tempio del tempo, struttura imponente a Nord della mappa. Superati i santuari e esplorato il Tempio del tempo, Link ritorna nel regno di Hyrule lanciandosi letteralmente nel vuoto, in cui lo attendono numerose missioni: quattro strani fenomeni imperversano nei quattro angoli della mappa (Città di Gerudo, Borgo dei Rito, Villaggio degli Zora e Città dei Goron), la principessa Zelda risulta misteriosamente scomparsa, i mostri sono tornati ad imperversare il mondo di gioco e strani ed imponenti geoglifi sono apparsi sulla mappa di gioco. Quest’ultimi, in particolare, racchiudono un importante segreto che cela i motivi della scomparsa di Zelda. Vi sono pertanto più missioni principali da portare a termine, e meglio indagare sui quattro fenomeni naturali e sulle figure apparse sul terreno, le quali racchiudono le lacrime del drago in cui esse sono contenute le memorie di un lontano passato. Sulla stessa linea di Breath of the wild, per completare le missioni principale, con un minimo di esplorazione abbiamo impiegato dalle 30-35 ore. Ciò scritto, possiamo tranquillamente affermare che l’impostazione della trama, come il susseguirsi degli eventi, è su piena discrezione del giocatore. Vale a dire, in altre parole, che il medesimo piò decidere in quale ordine procedere. Mantenuto, e apprezzato, la calibrazione del livello di sfida e della crescita di Link, indipendentemente dal percorso scelto, a differenza di altri giochi openworld di medesima impostazione (Pokémon, ad esempio). Riguardo all’aspetto di pura narrativa, relativamente alla densità del testo abbiamo notato un notevole miglioramento in confronto al primo capitolo. Inoltre, è aumentato il numero di personaggi non giocanti (NPC) in diversi punti della mappa, così come le missioni secondarie a disposizione e la loro varietà. Oltre alla crescita dei personaggi principali da Breath of the Wild (alcuni con moglie e figli, ad esempio, oppure Purah nella sua versione adulta), vi sono anche dei nuovi (Re Raul, Regina Soniah, o lo stesso Ganandorf, Re dei Gerudo). Apprezzato inoltre il maggiore approfondimento delle problematiche che si presentano in seguito al risveglio del Re dei demoni, come fenomeni vengono affrontati nelle diverse regioni e a seconda del popolo in cui si scatenano. Il background dei co-protagonisti e la risoluzione dei misteriosi fenomeni vengono approfonditi in diverse tappe della missione principale, la quale si suddivide autoamticamente in altre missioni principali. Tenuto conto di quanto appena descritto, prendiamo ad esempio anche le stesse missioni secondarie. L’esempio più lampante sono gli stessi Stallaggi, laddove è possibile depositare i cavalli domati nel corso dell’avventura. Ebbene, in Tears of the Kingdom vi sono tutta una serie di missioni secondarie (“Sfide secondarie”) collegate alla sparizione di Zelda, in altre parole Link aiuterà una famosa giornalista della regione (rivista quadrifoglio) a compiere delle indagini, in compagnia del simpatico reporter Penn. Ma durante queste missioni, ne vengono rivelate altre, come il mistero relativo alle spaventte fate radiose, nascoste all’interno del loro fiore. Senza inoltre considerare altre piccole attività, come la raccolta punti (tessera punti stallaggio), in grado di sbloccare premi di ogni tipo, per personalizzare i cavalli o DIY (Do it yourself) per nuovi accessori da creare. Ma non solo, anche altri luoghi della mappa sono stati profondamente colpiti in seguito alla scongiura della Calamità Ganon e a risveglio del Re dei Demoni. Il villaggio Calbarico viene colpito da strani massi e, pur la sua popolazione restata inerme, le missioni secondarie in esso presenti mostrano il chiaro tentativo di offrire una certa varietà nelle attività da svolgere. L’impressione complessiva è che le stesse missioni secondarie siano accessibili ma, allo stesso tempo, richiedono una certa dose di esplorazione e di arguzia per essere portate a termine. Insomma, ci è parso un buon equilibrio nel livello di sfida proposto, mai troppo frustrante ma nemmeno scontato.

Hyrule, sottosuolo e isole a mezz’aria

Esplorazione di una mappa che resta, ed è, mastodontica per l’hardware su cui gira. Hyrule di Breath of the Wild resta praticamente immutata, con però molti cambiamenti dovuti al fisiologico avanzare degli eventi in seguito alla calamità Ganon e al risveglio del Re dei demoni. Vale a dire che, pur la mappa rimanendo geograficamente invariata, vi è una reinterpretazione delle località, come il villaggio Calbarico, il Borgo dei Rito, la Città dei Goron, oppure i profondi cambiamenti intervenuti nel Centro di ricerca di Akkala e nella regione medesima. Pertanto, il giocatore, già avvezzo con il primo capitolo, potrà certamente riconoscere la bellezza delle calde Terre di Oldin, le fredde terre di Hebra con le sue montagne, la tipica Hyrule centrale pianeggiante, o addirittura l’Altopiano delle Origini in cui era iniziata la prima avventura…e molto altro ancora. Il Worldbuilding di Zelda è maledettamente strutturato alla perfezione. Vale a dire che, oltre all’adattamento delle zone colpite dai fenomeni atmosferici (che non citiamo per una questione di spoiler) – in seguito al risveglio del Re dei Demoni – vi è anche la possibilità di esplorare le isole celesti e il sottosuolo. L’esplorazione verticale viene quindi portata su un ulteriore livello, rendendo ancora più varie le attività da svolgere. Le isole sono raggiungibili, in parte, tramite le torri di controllo di Purah, le quali sbloccano porzioni della mappa sulla faslariga del primo capitolo, oppure tramite l’abilità “Reverto” di Link (sulla quale parleremo in seguito), mentre il sottosuolo è raggiungibile tramite voragini ricoperte di miasma. Il sottosuolo è vasto quanto la mappa in superficie, ed è completamente avvolto dall’oscurità. Al fine di portare una sorte di luce diurna, Link deve cercare delle radici che scendono fino al sottosuolo i quali, una volta attivato il seme, infonde di luce l’area circostante. Una sorta di ricerca simile a quella dei Sacrari in superficie i quali, anche in Tears of the Kingdom, ritornano nella medesima formula come già vista in Breath of the Wild. Trovate le radici, le stesse illumineranno una porzione di mappa portando pertanto la luce diurna. Il sottosuolo presenta dunque meccaniche inedite. Dapprima l’esplorazione, resa complessa a causa dell’oscurità ma mitigata dal nuovo bonus luminescenza, effetto che fa diventare Link luminescente per illuminare una piccola area intorno a sé. Inoltre, vi sono i nemici ricoperti di miasma i quali, se colpiranno Link, frantumeranno i suoi cuori senza poterli ripristinare. Gli stessi potranno essere ripristinati dalla luce del giorno, dalla luce emessa delle radici o, eventualmente, da pietanze o elisir con lo specifico bonus di recupero per il cuore infranto. L’esplorazione della mappa del sottosuolo richiede pazienza, essendo una sorta di modalità “difficile” integrata nel mondo di gioco. Siamo rimasti stupiti, e abbiamo apprezzato lo sforzo di aggiungere una mappa “ulteriore” a quella già conosciuta. Oltre al sottosuolo, vi sono pure le isole celesti. Le stesse presentano diverse sfide sulla falsariga dei sacrari, e ospitano anch’esse i medesimi con diverse sfide da portare a termine. Le isole, popolate dai piccoli golem Zonau, introducono nuove meccaniche e sono la culla dei congegni Zonau, alimentati da una mistica energia elettrica (di cui parleremo in seguito). I golem che le popolano guideranno Link in diverse attività: capaci di creare le sfere di energie Zonau, utilizzate appunto per alimentare i congegni Zonau, o introdurre il nostro ero alla minisfida del salto celeste, mettondo alla prova le abilità di comando a mezz’aria del giocatore. In pratica si tratta di attraversare gli anelli che appaiono a mezz’aria in un determinato periodo di tempo. Se già nel primo capitolo era lodevole il level design e la direzione artistica delle ambientazioni, in Tears of the kingdom l’asticella viene ulteriormente alzata grazie all’esplorazione verticale. Tutte le mappe sono collegate fra loro senza il minimo caricamento, il quale si presenta unicamente se si entra in un sacrario o se ci si teletrasporta in un altro luogo. Caricamenti che, in confronto al primo capitolo, sono stati notevolmente ridotti. La varietà delle mappe non riguarda solo la loro verticalità, ma anche gli stessi ambienti. Nota di merito sono i dungeon principali, nonché i loro percorsi per raggiungerli. Ora, in confronto ai colossi di Breath of the Wild, sono stati maggiormente studiati, approfonditi, e mostrano una cura dei dettagli cucita intorno alla regione su cui ergono. Nota d’onore anche per il contenuto dei Dungeon, i quali sono un netto passo avanti in confronto a Breath of the Wild adottando una formula simile ai classici templi dei titoli passati. Ognuno, infatti, deve essere affrontato sulla base di nuove abilità di Link, le quali verranno sbloccate alla conclusione del Dungeon. Senza cadere in troppi spoiler, il tempio del vento, presso il Borgo dei Rito, è avvolto da una nube di bufera di neve che ha completamente coperto l’intero villaggio, mettendolo letteralmente in ginocchio. Per raggiungere il tempio, 0all’interno delle nubi, occorre affrontare un arduo percorso a piattaforme fra le isole fluttuanti, sfruttando un’inedita abilità speciale. Stesso discorso è applicabile mutatis mutandis presso il Villaggio degli Zora, laddove, per raggiungere il tempio dell’acqua, è necessario superare diverse tappe esplorative di natura platform. Nel complesso, la difficoltà dei dungeon principali, la caratterizzazione ambientale e artistica, i percorsi per raggiungerli sono nettamente stati al centro di profondi cambiamenti da parte del team di sviluppo. Nulla da dire, pertanto, in merito al level design, che si rivela magistrale.

Manipolare il tempo, che passione!

Gameplay che, oltre ad essere composto dalla succitata componente esplorativa, rimane in ogni caso immutato in confronto a Breath of the Wild. Le mosse di Link in combattimento sono rimaste le medesime (schivata, lancio delle armi, QTE a mezz’aria con l’arco), il salto e lo sfruttamento del vigore restano anch’essi immutati. Per contro, lato enigmi e intgerazione con il mondo circostante, vi è un netto cambiamento. Ciò risiede nelle nuove abilità “base” di Link, le quali lasciano permettono uno sfruttamento delle stesse semplice, a volte rendendo ingegnose alcune soluzioni che possono solo gratificare il giocatore. Ciò quindi invoglia a giocare sempre di più, non avendone mai abbastanza (che sia un bene o un male, a dipendenza dei contesti privati). Tali abilità hanno permesso alla creazione di più eterogenei enigmi da risolvere, semplici ma d’impatto. Le principali quattro abilità sono le seguenti:

  • Ultramano: abilità che consente di afferrare e muovere oggetti a distanza. Una volta afferrati si possono ruotare e collegarli fra loro. L’effetto ricorda il Kalamitron di Breath of the Wild, con la differenza che tutti gli oggetti possono essere spostati. Questa tecnica permette non solo di spostare degli strumenti, ma di crearne di nuovi come imbarcazione, veicoli a terra, alianti e mongolfiere. Sfruttando l’ottima fisica di gioco è possibile creare soluzioni uniche per determinati enigmi. Ma non solo, tale abilità permette anche una maggiore e fluida esplorazione della mappa. In sostanza, l’esplorazione può essere velocizzata senza dover ricorrere esclusivamente al cavallo. In particolare, i congegni Zonau, di cui abbiamo parlato poc’anzi, possono dar vita a diversi “veicoli” se combinati fra loro. L’aliante, se combinato con la ventola, può diventare una sorta di aereo per spostarsi orizzontalmente a mezz’aria. Le assi di legno, ad esempio, possono essere combinate con il congengo Zonau ventole per creare delle imbarcazioni, e via dicendo. Tali congegni sono alimentati ad energia Zonau, la quale può essere aumentata implementando apposite batterie o scagliando una freccia equipaggiata con i nuclei Zonau.
  • Reverto: abilità che permette di invertire il movimento di un oggetto per farlo tornare alla posizione di partenza. Il processo può essere interrotto in ogni momento con il dorsale L. Tale abilità ricorda in particolare l’effetto di Stasi, con la differenza che è possibile controllare il movimento di un oggetto. Grazie a tale abilità, oltre agli enigmi, è possibile raggiungere le Isole a mezz’aria grazie ai massi che cadono dal cielo. È sufficiente applicare Reverto e il masso raggiungerà la sua posizione a mezz’aria di partenza.
  • Ascensus: abilità che consente di saltare in verticale per attraversare i soffitti/superfici ed emergere dall’altro lato. Questa abilità, oltre ad essere molto utile per alcuni enigmi, facilita ulteriormente l’esplorazione verticale.
  • Compositor: abilità che permette di combinare uno scudo o un’arma con un oggetto e creare, di riflesso, scudi e arme inedite. È dunque possibile creare nuove spade unendole ai minerali (topazio, opale, zaffiro), a rocce per dare vita a veri e propri martelli distruttivi, utili per togliere di mezzo rocce, oppure a congegni Zonau creando uno scudo lanciafiamme. La stessa possibilità è data alle frecce poiché, attivando l’arco, è possibile, con la croce direzionale “su”, fonderle con un materiale a propria scelta. Il frutto del fuoco, ad esempio, donerà l’effetto fuoco alle frecce, oppure il fiore bomba crea, di riflesso, le frecce esplosive.

Le abilità, ridotte a quattro ma ben più complesse, sono solo un assaggio di quello che attende il giocatore. Gli enigmi sono effettivamente meno intuitivi, le abilità ulramano e reverso lasciano spazio a differenti maniere per risolverli. Vale a dire che, a dipendenza della fantasia e ingegnosità del giocatore, vi sono più modi per portare a termine un sacrario, raggiungere una determinata zona o sconfiggere determinati nemici. L’introduzione dei congegni Zonau, le nuove abilità di Link così come una maggiore variazione dei bonus (aerodinamica: traiettorie a mezz’aria più precise; aderenza: maggiore facilità nello scalare le superfici bagnate; attacco + al freddo o al caldo: in ambiente con basse/alte temperature Link è in grado di creare attacchi elementali), rende il gameplay vario, divertente e non stufa quasi mai. La formula introdotta con Breath of the Wild è ora più matura e studiata ancora meglio da parte di Nintendo. In altre parole, quello che di buono c’era in Breath of the Wild è stato trasmesso a Tears of the Kingdom, e sensibilmente migliorato. Certamente, restano presenti alcune noie come la durabilità (limitata) dell’equipaggiamento, la scivolosità nell’arrampicarsi durante la pioggia, e molto altro. Noie che fanno parte del mondo di gioco, ma che possono essere ora “raggirate” grazie a nuovi equipaggiamenti dedicati, bonus inediti o grazie all’abilità compositor.

Quanto fin qui descritto, è in sintesi tutto quanto introdotto in questo sequel di Breath of the Wild. The Legend of Zelda: Tears of the Kingdom è un titolo che va certamente giocato per capirne le meccaniche e la vastità. Seppur vero che l’impostazione è praticamente la stessa di Breath of the wild, perdendo dunque quell’effetto “wow” che si aveva nel 2017, in Tears of the Kingdom Nintendo si è impegnata a fondo per risolvere quelle poche criticità rilevate in Breath of the Wild, portando il tutto ancora su un altro livello. In altre parole, ci sentiamo di affermare che Tears of the Kingdom risponde pienamente alle aspettative dei fan. Le uniche note dolenti, se proprio vogliamo trovare il pelo nell’uovo, è la trama “telefonata” che ricorda assai gli Zelda passati. Pur considerando gli approfondimenti dei personaggi, la maggior densità di testo e l’aumento delle Sifde secondarie, il tutto è ormai pilotato dalla canonica narrativa: cerca la principessa, conquista tutti i templi e sconfiggi il Re dei Demoni. La trama, in questo genere di gioco, è in parte contorno al mastodontico gameplay, la quale potrebbe però introdurre una nuova formula tentando distaccarsi dai canoni della serie. Sarà, a nostro avviso, una delle future prove di Nintendo per quanto riguarda la serie di Zelda.

Lato grafico e lato colonna sonora, le stesse si riconfermano per l’ottima qualità se considerata la macchina su cui gira. La colonna sonora riprende le melodie di Breath of the wild, aggiungendone alcune peiche come quella delle boss fight nei dungeon principali. Riguardo alla grafica, il titolo mostra un netto miglioramento in confronto a Breath of the wild. Pur mantenendo il pop-in degli elementi a una distanza ridotta, gli effetti, le ombre e le texture, in generale, sono ad alta risoluzione. Le montagne sembrano ora con una maggiore mole poligonale, mentre lo stesso frame rate risulta granitico, più del primo capitolo in certi ambienti (esempio: bosco). Solo in un occasione abbiamo notato un breve calo del framerate, in particolare nelle zone con moltissima vegetazione. In effetti, l’impressione è che i boschi, e determinati ambienti, sono stati arricchiti con molti dettagli. In particolare, ci hanno colpito gli effetti dell’acqua, la luce durante i tramonti e la pulizia generale dell’immagine. Insomma, si nota che il gioco è stato sviluppato e cucito attorno all’hardware di Nintendo Switch, la quale, evidentemente, lato grafico e tecnico ha ancora qualcosa da dire pur avendo 6 anni sul groppone. Grazie al comparto grafico e alla direzione artistica del gioco, il bello di The Legend of Zelda: Tears of the Kingdom, come lo era anche in Breath of the Wild, non è solo quello di esplorare la mappa, avanzare nella trama o ingegnarsi con le abilità di gameplay, ma anche quello di ammirare i paesaggi ed esplorare il regno di Hyrule, in tutta la sua bellezza artistica e catturando immagini in tale senso.

Tirando le conclusioni, ritenuta la natura di sequel del gioco, consideriamo Tears of the Kingdom un sequel all’altezza di Breath of the Wild. Manca effettivamente quell’effetto sorpresa che trasmetteva il primo capitolo, grazie alla natura openworld dello stesso e allo stravolgimento del gameplay per la serie. Allo stesso tempo, però, il sequel prende il meglio di Breath of the Wild, alzando ulteriormente l’asticella qualitativa. Le critiche, effettivamente, sono minime. Per il resto, il gioco rasenta la perfezione e ha rusposto ampiamente alle nostre aspettative…che sia questo, il canto del cigno di Nintendo Switch?

Ci piace

  • Mondo di gioco, level design e worldbuilding magistrali. Il sottosuolo e le isole sono un plus considerevole
  • Le nuove abilità (Ultramano e Reverto) introducono numerose possibilità di gameplay (esplorazione, enigmi)
  • Grafica sublime per la console su cui gira
  • Tante attività, missioni e un mondo tutto da esplorare, migliora tutto quello che di buono c'era nel prequel...

Non ci piace

  • ...ma forse, per certi versi, con un'impostazione troppo simile a Breath of the Wild.
  • la narrativa è assai "pilotata", come da tradizione della serie
5.75

Scritto da : Pusti

Avvocato, sportivo e gaymer. Tra le varie passioni e attività, quella relativa ai videogiochi e al divertimento ludico da tavolo (boardgame) è intramontabile. Fedele al marchio Nintendo, giocatore su PC e amante del VR senza fili (Oculus Quest), Pusti è uno degli storici redattori di Joypad.ch

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