Nessun videogioco ha mai esaltato il mito del super soldato quanto la saga di Metal Gear. I suoi eroi sono in assoluto i migliori combattenti della storia: da soli, agiscono nell’ombra, fermano eserciti e salvano il mondo. Da soli, affrontano e sconfiggono altri super soldati con poteri sovraumani, che li rendono spesso mostruosi. Eppure, questa celebrazione è solo apparente… questi super soldati, siano essi gli eroi o gli antagonisti, finiscono sempre per rivelare il loro lato umano e quel che sono per davvero: persone con un passato spesso drammatico, uomini e donne che i campi di guerra hanno alienato dall’umanità, vittime e burattini di poteri politici e economici che li usano e poi sacrificano. Insomma, nessun videogioco ha mai condannato la guerra quanto la saga di Metal Gear.
Il dolore fantasma
Il titolo del gioco annuncia una delle tematiche trattate in Metal Gear Solid V: i dolori fantasma sono quelli che una persona percepisce, nonostante abbia perso la parte del corpo che li provoca. Sono i dolori che Big Boss, il protagonista dell’episodio, sente per aver perso un braccio. Ma sono anche i dolori di Kaz Miller, suo camerata e amico, che non desidera placare la sofferenza dei due arti persi perché mantengono vivo il ricordo di tutti i compagni morti su un campo di battaglia.
Metal Gear Solid V, The Phantom Pain si svolge subito dopo Ground Zeros, il prologo uscito all’incirca un anno fa, e dunque da un punto di vista temporale si situa fra Peace Walker e il primo capitolo della saga di Metal Gear Solid. La vicenda inizia con Big Boss che si risveglia in un letto d’ospedale dopo aver passato nove anni in coma. Infatti, alla fine di Ground Zeros un’organizzazione segreta legata al governo statunitense, Cypher, aveva distrutto la base di Big Boss, massacrato i suoi soldati e trovato il modo di ferirlo gravemente. Il capitolo introduttivo del gioco è una dimostrazione dell’indiscutibile talento di Hideo Kojima: il giocatore vive il risveglio di Big Boss e la sua presa di coscienza di ciò che è successo, grazie a una delle sequenze più significative degli ultimi anni, che si conclude con una fuga degna di un film horror. Questo inizio corrisponde anche alla rinascita del “miglior soldato della storia”, che ritrova alcuni suoi vecchi camerati, divenuti ormai i Diamond Dogs, con cui riprende il cammino per la malata utopia di creare un esercito ideale e per vendicarsi di Cypher. Da notare, che Kojima propone un nuovo stile di narrazione rispetto agli episodi precedenti: i lunghi filmati, a volte interminabili, sono stati rimpiazzati da sequenze molto più interattive.
L’approccio fantasma
Metal Gear Solid V ripropone le meccaniche di gioco mostrate in Ground Zeros, il cui scopo era principalmente di validarle con i giocatori, aggiungendo comunque parecchie novità, come la gestione della propria base, la presenza di comprimari sul terreno e l’esplorazione della zona di guerra. Il nuovo capitolo della saga propone per la prima volta un mondo aperto – chiaramente in versione Kojima… dimenticatevi Skyrim o The Witcher 3! – e una struttura episodica: il giocatore può infatti muoversi liberamente nell’area di gioco e rigiocare più volte le stesse missioni. Quest’ultime appartengono a due categorie: principali e secondarie; le prime sono più legate allo sviluppo della storia, mentre le altre permettono per esempio di catturare soldati con competenze speciali nella traduzione e nella creazione di nuove armi. La struttura di una missione implica la preparazione, l’infiltrazione, la missione e la fuga. La preparazione consiste nella scelta dell’equipaggiamento e di un comprimario che ci possa aiutare sul terreno. Una volta completata questa fase, Big Boss viene elitrasportato in un luogo scelto dal giocatore, dal quale parte per la missione vera e propria. Questa implica sempre diversi obiettivi, di cui alcuni segreti fin quando il giocatore non l’ha completata per la prima volta. Compiuta la missione, il giocatore deve chiamare l’elicottero via radio e stabilire una zona per il recupero. Se la struttura di una missione è piuttosto rigida per quelle principali, varia invece per quelle secondarie, più brevi, che possono essere concatenate senza bisogno di farsi recuperare dall’elicottero.
L’infiltrazione, la meccanica di base della serie, è stata privilegiata dai creatori e, seppur sia sempre possibile usare la forza bruta con successo, il giocatore è stimolato a usare un approccio discreto per ottenere dei migliori punteggi di missione. Per arrivare a un tale risultato, gli sviluppatori hanno dovuto rendere più efficace e dinamico il combattimento corpo a corpo. Inoltre, per avere una migliore comprensione del contesto e trovare la maniera di compiere una missione, è possibile osservare i nemici e le armi con il binocolo: ogni minaccia sarà così evidenziata e il giocatore potrà vederla attraverso i muri. Se poi un nemico dovesse accorgersi della presenza di Big Boss, il tempo rallenterebbe, dando la possibilità di sparagli o di lanciarsi contro di lui per neutralizzarlo prima che possa allarmare i suoi compagni e rendere vana ogni aspirazione di furtività. Infine, l’approccio non violento è stimolato dalla possibilità di legare un nemico stordito a un pallone Fulton: il malcapitato sarà dunque spedito verso la base di Big Boss, The Mother Base. Recuperare soldati, armi e veicoli grazie ai palloni Fulton è fondamentale perché permette al giocatore di sviluppare la propria base, che potrà in seguito fornire nuove armi, potenziamenti e altro ancora. Per ottenere questi aiuti il giocare deve anche migliorare la base stessa, utilizzando delle risorse trovate sul terreno. Potete dunque immaginare che rigiocare le stesse missioni e esplorare l’area di gioco sono due azioni indispensabili per poter progredire con la storia. Quel che è incredibile è che ripetere le missioni non è mai noioso, perché l’approccio può variare ogni volta.
Un’estetica fantasmagorica
Il Fox Engine, il motore di gioco, fa meraviglie: la grafica realistica è magnifica e valorizzata da effetti atmosferici dinamici, come pioggia, fuoco, nebbia e tempeste di sabbia. Mai prima d’ora la qualità estetica di un Metal Gear Solid è arrivata a questo livello e, contrariamente ai capitoli precedenti, è costante durante tutto il gioco. Come già in Ground Zeros, gli equipaggiamenti militari sono di eccellente fattura, probabilmente la migliore mai vista in un videogioco, e la sola cosa che ne distingue i materiali dalla realtà è la mancanza del loro tipico odore. I maliziosi potranno forse dire che i luoghi sono un po’ ripetitivi, poco popolati e altro ancora, ma non bisogna dimenticare che il gioco si svolge in una zona di guerra.
Dal punto di vista sonoro, il gioco si assesta a un livello eccellente, grazie a un’ottima recitazione e alle splendide musiche che da sempre sono tipiche della saga. La colonna sonora è completata con canzoni più o meno in voga negli anni ottanta, epoca in cui si svolge la vicenda. Un esempio della cura maniacale in quest’ambito può essere l’inizio del gioco: quando Big Boss si risveglia in ospedale, in sottofondo si sente la canzone The Man Who Sold The World… Non la versione originale di David Bowie presente nell’album Diamond Dogs – non vi dice niente? -, ma la ripresa di Midge Ure, uscita proprio in quegli anni e arricchita con arrangiamenti elettronici. Insomma, il messaggio per Big Boss è chiaro: “i tempi sono cambiati dall’ultima volta che ti sei svegliato”. E forse la canzone parla proprio di lui? Non sarebbe sorprendente, pensando che l’inizio di Ground Zeros era accompagnato da Here’s to you che lasciava trasparire cosa sarebbe successo nel breve capitolo.


Infine, un’ultima nota riguarda la presenza di cassette accessibili durante le missioni o nei momenti di pausa: contengono sia la colonna sonora del gioco che registrazioni in cui vengono narrate vicende e situazioni legate all’avventura. Oltre a storie inventate e legate alla saga di Metal Gear Solid, viene anche proposto qualche elemento storico sull’invasione russa dell’Afghanistan: ascoltandoli, vi renderete conto che il contesto attuale non è un prodotto dell’inizio degli anni 2000, ma che ha radici ben più lontane.
Il fantasma di Kojima… o dei giocatori?
Metal Gear Solid V, The Phantom Pain è semplicemente un capolavoro, uno dei quei rari prodotti d’autore che segnano la storia del videogioco, destinati a diventare esempi positivi nelle scuole di game design. Ad ogni episodio della saga, Hideo Kojima e il suo team sono stati capaci di rinnovare il gameplay e in generale a migliorare quanto fatto in precedenza. Certo, come in ogni capitolo ci sono dei difetti minori: qualche piccolo bug, delle rare sbavature nel calcolo delle collisioni mentre si cavalca, a volte un po’ di frustrazione per via della storia (per ogni risposta data, vengono proposte due nuove domande) e una sensazione di ripetitività nelle missioni secondarie. Ciò non toglie che Metal Gear Solid V sia il prodotto di un maestro del videogioco e che le aspettative dei giocatori non siano state tradite.
Purtroppo, Metal Gear Solid V ci confronta anche con un’altra realtà: probabilmente sarà l’ultimo capitolo della saga. Il rapporto tra Hideo Kojima e Konami si è incrinato e il noto designer non lavora più per l’azienda giapponese. Nel gioco scoprirete un Big Boss stanco e deluso dal suo mondo… Che sia lo specchio delle vicissitudini di Kojima?
Inoltre, Konami ha annunciato di voler abbandonare il mercato delle console, di preferir concentrarsi su quello degli smartphone e ha annullato lo sviluppo di giochi del calibro di Silent Hill. Godetevi dunque quest’opera, perché in futuro il vostro spirito di videogiocatore potrebbe sentire un dolore fantasma ogni qual volta che sentirete parlare di Konami, Metal Gear, Silent Hill, Castlevania e tante altre licenze.
La redazione di Joypad ringrazia infinitamente Microsoft, che per prima è stata capace di fornire una copia del gioco.
PS: se la nota vi sembra esagerata, siete liberi di togliere un decimo di punto.