Transference

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Transference

Transference è un’esperienza strana. L’abbiamo visto diverse volte nel corso degli ultimi due anni e abbiamo comunque sempre fatto un po’ fatica a capirlo appieno. Inizialmente sembrava un horror, poi un walking sim, poi un’avventura e poi chissà che altro. La realtà è un po’ a metà. Scopriamo in che senso?

Di esperimenti andati male

In Transference dovremo scoprire cos’è andato terribilmente storto nell’esperimento di Raymond Hayes, uno scienziato che afferma di aver inventato un modo per copiare la coscienza umana per riprodurla in modo digitale, sbloccando di fatto una sorta di vita eterna per i soggetti duplicati. Un progetto fantascientifico, rivoluzionario che il dottor Hayes è convinto poter testare sugli esseri umani. Il gioco si apre quindi con un video (girato dal vero, con attori in carne ed ossa) del dottore che ci illustra la sua invenzione. Ma appena metteremo piede in gioco, ci renderemo subito conto che qualcosa non va. Ci ritroviamo al limitare di una casa immersa in una pozza d’oscurità, diversi elementi sfarfallano attorno a noi a metà tra illusione e bug di software. Entrando nella palazzina, le cose si fanno ancora più strane. In pochi minuti saremo invischiati in una sorta di mondo da incubo in cui risuona la voce angosciata di Raymond e le urla terrorizzate del figlioletto Benjamin. E che è successo a Katherine, la moglie del professore?

Transference ci è stato definito come una escape room virtuale e tendiamo ad essere abbastanza d’accordo con gli sviluppatori di SpectreVision (lo studio fondato, tra gli altri, da Elijah Wood) ma aggiungeremmo anche una componente di thriller psicologico e una leggerissima spuzzatina di horror. SpectreVision tra l’altro non è nemmeno una casa di produzione di videogiochi in senso tradizionale, dal momento che le sue produzioni principali sono i film. Tra le mani insomma abbiamo “un gioco” (ma sarebbe meglio definirlo un’esperienza narrativa) davvero particolare. Per tutto il corso della partita saremo confrontati con spezzoni di storia, con ricordi, appunti, note, video, testimonianze e altro ancora che dovremo tentare di seguire la meglio. Sicuramente Transference non è un gioco che ci fornisce la classica pappa pronta, dovremo ragionare un po’ sopra gli eventi dei quali siamo testimoni per tentare di ricostruire il dramma della famiglia Hayes.

Anche il mondo di gioco, la casa degli Hayes, è un’ambiente in continuo mutamento, in modo quasi schizofrenico e disturbato. In Transference la casa esiste in diversi luoghi e diversi stati in contemporanea e spesso dovremo saltare da una versione all’altra per risolvere i vari puzzle. In modo piuttosto ingegnoso, per modificarne lo stato basterà accendere o spegnere la luce per venir immediatamente trasportati nell’altra versione. A volte dovremo recuperare un oggetto nella versione “normale” per sfruttarlo nella versione “da incubo” e vice versa. Nessuna delle varie realtà della casa è comunque mai un luogo pacifico: saremo continuamente disturbati dalle voci dei suoi abitanti, che si tratti di frasi ripetute all’infinito, richieste d’aiuto o ragionamenti di cui sentiamo solo qualche frammento.

Realtà virtuale

Transference è nato come titolo VR e così dovrebbe essere giocato. Abbiamo giocato su PC con un HTC Vive in fase di recensione mentre l’ultimo test alla Gamescom l’abbiamo fatto su Oculus Rift. Con entrambi i visori comunque siamo trasportati all’interno del mondo oscuro e distorto del gioco di SpectreVision, circondati da ansia e angoscia. L’interazione si fa tramite i controller motion delle due piattaforme rispettive ed è magistralmente eseguito con ognuno dei due controller a rappresentare una mano del giocatore. Il gioco è comunque anche fruibile in 2D, sia su PC che su console ma perde moltissimo del suo fascino. Ad onor del vero dobbiamo comunque confessare che abbiamo iniziato il gioco in VR ma l’abbiamo continuato in 2D a causa della sensazione di nausea causata dalla realtà virtuale. Transference ha diversi sistemi per ridurre gli effetti negativi, in modi anche piuttosto interessanti e ben fatti, ma questo non ha impedito del tutto l’insorgere della nausea. Si tratta, come sempre quando si parla di VR, di una componente estremamente soggettiva. In 2D si perde parecchio in coinvolgimento ma, tutto sommato, il gioco funziona altrettanto bene.

Esperienza

I giochi in VR continuano ad essere più delle esperienze che dei veri giochi in senso classico. Transference dal canto suo non fa differenza, proponendoci una escape room completabile in un paio d’ore, sempre che non restiamo bloccati su qualche enigma particolarmente ostico (normalmente sono fattibili, se ci prendiamo il tempo per osservare il mondo attorno a noi e ragioniamo un pochino). Peccato che il doppiaggio italiano sia del tutto assente e i sottotitoli a volte scompaiano negli oggetti (muri, porte e via dicendo) a meno che non ci si allontani a sufficienza dagli ostacoli. In un titolo in cui trama e interpretazione sono due delle componenti principali, è un po’ peccato per l’utenza italofona. Da provarsi se non soffrite di claustrofobia!

 

Ci piace

  • Atmosfera
  • Recitazione
  • Enigmi

Non ci piace

  • In 2D perde fascino
  • Niente doppiaggio in italiano
5

Scritto da : Dave

Editor in Chief di Joypad, lo trovate anche sui social @MrPipistro

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