The Last Of Us Parte 2

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The Last Of Us Parte 2

Pubblicare una recensione in un momento attuale in cui il videogioco in questione sta patendo il fenomeno del cosiddetto “review bombing” non è facile. Significa dover contestualizzare ancora di più quanto si sta per dichiarare, alla luce di una forbice così ampia tra il giudizio della critica settoriale e quello della vox populipur restando obiettivi e offrendo una visione quanto più aderente e coerente al lavoro svolto da Naughty Dog per portare sulle nostre console uno dei titoli più attesi di quest’ultima fase precedente il lancio di PlayStation5.

Raccontare com’è stato riabbracciare le armi e buttarsi nel mondo di The Last Of Us Parte 2 è uno dei compiti più ardui da svolgere, a fronte di un titolo così duro e crudo, ma lucidamente realistico. Non vediamo l’ora di lasciarvi il nostro resoconto, il più possibile scevro di spoiler.

Molto forte, incredibilmente vicino

La ricerca del sé diventa complicata, quando si è completamente immersi in un mondo che ti addita come diversa e che ti vorrebbe sfruttare per la tua unicità congenita. Parliamo del dono che Ellie possiede nel suo fisico, la sua capacità di essere miracolosamente immune al Cordyceps, il virus infettivo che imperversa da tempo negli Stati Uniti e dalla salvezza che, ancora una volta, Joel le procura strappandola senza troppi di giri di parole (e qualche colpo mortale) agli infermieri che tentavano di fare esperimenti su di lei.

Se questi brevi momenti sono tutto quello che sappiamo nei primi minuti di gioco, tentando di creare un traballante ponte di collegamento tra il prequel e questo capitolo, vediamo sin da subito che abbiamo a che fare con una dimensione ben diversa, cinica, fredda, rispetto all’atmosfera di speranza e carica di pathos respirata negli stessi, primi momenti di TLOU.

Le cose cambiano, e questo nuovo stato dell’arte relazionale viene chiarito dando adito a ben pochi dubbi, in particolare nella relazione tra Ellie e Joel. Abbiamo a che fare con una Ellie più arrabbiata, cinica, che elabora ed esplora con fatica il suo orientamento sessuale, liberandosi degli strati protettivi dell’innocente (ma pur sempre dura) infanzia e aprendosi all’adolescenza in un viaggio dal biglietto di sola andata.

Ci ritroviamo dunque per le mani un viaggio metafisico, dettato non solo da spostamenti geografici da una landa desolata all’altra, a piedi o a cavallo, ma anche alla ricerca di se stessi, della propria identità, passo dopo passo in un mondo dove ogni sentimento è diventato effimero e la sola giustificazione a quanto viene compiuto è il puro istinto primordiale di sopravvivenza.

Se nel primo gioco eravamo aggrappati alla speranza fino all’ultimo secondo, ora questo stato d’animo ha lasciato il posto alla disillusione, al freddo calcolo, all’anima nascosta in qualche recondito angolo. Beninteso, quella dei personaggi, non di certo la nostra, che ne esce segnata e

Per questi motivi, l’approccio al gioco non è affatto facile e immediato. L’inquadratura in primissimo piano mentre spacchiamo la testa di un infetto o un clicker dal fungineo cranio ci strappa la safena dal collo, mentre il sangue schizza ovunque e sporca la nostra visuale come se fossimo spettatori presenti allo scempio, non è sempre digeribile e accettabile.

I combattimenti sono dettati più dalla tecnica e dalla tattica, che dal semplicistico concetto di entrare a far parte di uno sparatutto. I clicker sono da abbattere colpendo di soppiatto o alla testa, pena il game over immediato, i runner sono introdotti da un corpo a corpo crudo e brutale (da giustificare a pieno titolo un PEGI 18 lampante), ma Ellie, quasi più che gli altri personaggi che possiamo guidare, spara e uccide come se non ci fosse un domani. E forse è proprio così.

A proposito di questo aspetto di gioco, non abbiamo notato purtroppo particolari novità nella trama e a livello di svolgimento del gameplay, rispetto al primo capitolo, ma nella presenza di un’evoluzione degli Infetti e nuovi nemici da affrontare. Per questo motivo, vi è il rischio che il giocatore che vi si avvicina per il semplice scopo di sbarazzarsi di orde di nemici, non ne esca troppo soddisfatto.

Piccola nota abbastanza difficile da digerire: probabilmente il funzionamento dell’IA non è stato ben bilanciato, poiché, a prescindere dalla modalità di gioco impostata, da un lato la tecnica che dobbiamo mettere in atto per uscire vincitori non è complicata, ma tutto sta nel nostro tempo di reazione, dunque potrebbe essere frequente incappare nel game over.

Tutto questo avviene in un mondo esplorabile in lungo e in largo, con il rischio di perdervisi, complice il fatto che non abbiamo a disposizione una mappa costantemente visualizzabile a schermo. Ricordiamo però che TLOU2 non è stato concepito prettamente come un open world, ma d’altro canto possiamo avventurarci talvolta in aree piuttosto grandi e larghe, che vi consigliamo di battere da cima a fondo alla ricerca di utili aggeggi e utensili per potenziare il nostro inventario.

Così facendo potremmo anche andare ad allungare il tempo di completamento del gameplay, che rimane di base di longevità media, sulle 25-30 ore per coloro che non si soffermano sui dettagli e non hanno manie di completismo e “platinamento” di gioco.

Passiamo a un’altra opzione ormai indispensabile in un gioco Tripla A che desideri farsi definire tale: la modalità foto. Sicuramente molto buona, grazie anche a un’ottima resa grafica del gioco in sé e delle performance di un motore di gioco che non concede quasi mai cali di framerate.

Ottimo risultato, certo, ma ancora non in grado di raggiungere livelli di creatività e resa come in Marvel Spiderman, chi l’ha provata sa di cosa stiamo parlando. Di poco inferiore anche a quanto abbiamo avuto modo di testare in Horizon Zero Dawn, la modalità in TLOU2 non è adattiva a qualsiasi situazione: se desideriamo scattare foto bloccando il gioco in una sequenza dialogica, non tutte le opzioni saranno disponibili.

Cibo per la mente (e per l’animo)

La letteratura videoludica e seriale parla a gran voce già nei primi momenti di gioco, dove, come anticipato, sperimentiamo sin da subito la possibilità di guidare diversi personaggi, a partire proprio dal buon vecchio Joel.

Nel corso di TLOU2, possiamo andare a cavallo e vivere un’esperienza grafica finalmente distante dalla resa tecnica di un The Witcher 3 e più vicina a Red Dead Redemption; la realizzazione fisionomica di Ellie è piuttosto vicina a Jodie Holmes di Beyond: Two Souls e ricorda anche Clementine, la ragazzina di The Walking Dead, da cui si trae anche spunto per la presenza di infetti e le dinamiche di sopravvivenza, senza tralasciare la tematica del viaggio e del distanziamento tra città (e quindi di persone e potenziali sopravvissuti) come in Death Stranding.

Se la cifra narrativa della trama risulta piuttosto complessa e non scontata, rincariamo la dose affrontando brevemente il trattamento delle tematiche non facili e talvolta discutibili (fino a causare la censura del gioco in alcuni Paesi). Lo sappiamo, parliamo in primis della “problematica” dell’omosessualità di Ellie e Dina, l’annosa questione che ha tartassato questo titolo sin da prima della sua uscita e non ha smesso nemmeno a posteriori, anzi.

In un mondo dove tutto esiste ormai solo grazie all’applicazione della forza fisica e alla capacità di adattamento e sopravvivenza, pensare di instaurare una relazione che non sia conflittuale ha il sapore del parossismo, accanto allo stigma costante che si pone su una relazione che non sia eterosessuale. Se all’inizio il suo amico Jesse quasi la addita e la mette a disagio per il bacio ricevuto da Dina la sera prima, è la stessa Dina che si giustifica per questo fatto, sostenendo che fosse frutto dello stato di ebrezza in cui versava.

Come sono intercorse le cose tra Dina e Ellie, probabilmente lo sappiamo tutti, anche coloro che non sono giunti a quel punto della trama, ma sono altri gli affetti complicati esposti in TLOU2. La relazione tra Ellie e Joel è chiaramente fredda, distaccata; si tenta di cristallizzarla forse solo attraverso quella Taylor Guitars, la chitarra così emblematica da essere riprodotta in veri prototipi acquistabili, e dal brano Through the Valley, che incornicia con commozione una storia passata ormai sfilacciata dagli orrori del presente.

Infine vi è anche la difficoltà dell’attualità, la vita che non si arresta, come insegna la relazione tra Abby e Owen, ex-fidanzati ma forse non nel cuore della donna. Si sente paradossalmente tradita dal suo amico, il quale ha messo incinta la sua compagna Mel, turbando in maniera piuttosto esplicativa Abby e scatenando anche in lei difficili sentimenti misti a odio e gelosia.

Sic Parvis Magna?

Sembra che l’unica dimensione umana socialmente accettabile e condivisibile sia quella della violenza, della dominazione sull’altro, della paura e in ultima battuta della solitudine effettiva. Così il sentimento più puro come l’amore e i legami affettivi sinceri sembrano solo lontani ricordi d’antan, rimasti ancorati agli ultimi minuti di partita di TLOU e qui confinati in qualche recondito angolo dell’animo.

Non solo ricordi metatestuali, ma anche extradiegetici: The Last Of Us Parte 2 diventa pretesto per rispolverare la fine di un altro eroe di casa Naughty Dog, Nathan Drake, e non solo appropriarci dell’anello di Sir Francis Drake sempre indossato dal ladro protagonista, (e riprodotto nella sua dicitura “Sic Parvis Magna – 29 Januarie 1596 – 9 32 79”), ma anche ritrovare un “pezzo d’epoca” in un edificio abbandonato. Una console PlayStation 3 con alcuni giochi della saga di Drake e The Jak and Daxter Collection.

Accanto a questi, le carte collezionabili che possiamo trovare durante la nostra perlustrazione sembrano rimandare talvolta, nel nome e nelle fattezze degli eroi rappresentati, a un universo comics piuttosto ampio: quello Marvel, come sembra rimandare un certo Tesseracter in una delle carte che troviamo nella prima ora di gioco.

Al termine di questa disamina, non possiamo che uscire provati, scossi, genuinamente sconvolti. Troviamo che mai come in questo particolare momento storico, The Last Of Us Parte 2 sia decisamente aderente e parallelo a una contemporaneità ancor più in balìa dell’incertezza, di un’attualità ondivaga e quanto mai liquida e difficile.

“Da cose così piccole a cose così grandi”, recita l’anello di Nathan Drake, artefatto tanto inutile ai fini del gioco, quanto emblematico e nostalgico, soprattutto citandolo in un mondo che sembra aver dimenticato la speranza e la fertilità (non foss’altro per quella gravidanza che affronta a testa alta il virus, dettaglio quanto mai tragicamente attuale).

Ma si può davvero puntare a cose grandi? Il gioco vale la pena di essere provato, sviscerato, assunto a piccole dosi. E’ stato necessario, come sequel? Forse che sì, forse che no. Personalmente, lo abbiamo gradito, ma la vera marcia in più che è mancata è quell’adrenalina genuina, il gameplay un po’ meno avvincente del primo capitolo, complice forse la tristezza malcelata di Ellie che ci pervade.

Il nostro consiglio è quello di avvicinarsi gradualmente, evitando di macinare ore e ore di gameplay una dopo l’altra, anche solo per approfittare di questa occasione per riflettere su quanto stiamo vivendo e cogliere al meglio il significato di quanto i creatori hanno voluto cercare di raccontarci. Fate in modo che tutto questo non sia vano.

Ci piace

  • Adrenalina e tensione molto elevati..
  • Grafica molto curata...
  • Emotività viscerale e profonda

Non ci piace

  • ..talvolta in modo eccessivo
  • ...ma dalla modalità foto non eccellente
  • Maturazione del gameplay non troppo marcata rispetto a TLOU
5

Scritto da : Blondienerdie

Pad alla mano da 6 anni, ancora mi chiedo se Squall sia vivo o morto, ma comunque nella playlist Spotify trovi la colonna sonora di FF VIII e FF VII accanto a metal, Two Steps from Hell, Hans Zimmer e i Coldplay. Sed non satiata.

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