Abbiamo giocato Anthology of Fear, un progetto sviluppato dallo studio polacco OhDeer Studio, in collaborazione con 100 GAMES. Questo nuovo horror ci ha fatto fare un salto nel passato, più che un salto sulla sedia, vediamo insieme il perché esaminandolo più nel dettaglio.
Una premessa interessante…
La trama di Anthology of Fear è senz’altro interessante: impersoneremo Ethan Sorren, un uomo disperato per la scomparsa del proprio fratello Nathan. Dopo mesi di indagini nessuno è stato in grado di trovarlo, così Ethan decide di mobilitarsi in prima persona per fare luce su questo mistero.
Il nostro obiettivo sarà quello di collezionare indizi e cercare di ricostruire quello che è successo a Nathan, esaminando i documenti e le cassette audio e video che troveremo sul nostro percorso in inquietanti luoghi abbandonati. Girovagando tra i corridoi e le varie stanze di un fatiscente ospedale, nella speranza di trovare qualcosa di utile per scoprire cos’è successo a nostro fratello, cercheremo di aiutare Ethan a far luce su un mistero che non gli dà pace.
… ma uno sviluppo che lascia a desiderare
Anthology of Fear inizia subito in un vicolo buio, con una misteriosa voce che ci parla attraverso un walkie talkie e che ci guiderà verso l’ospedale in cui dovrebbe essere conservata la cartella clinica di nostro fratello Nathan.
Esaminando i documenti audio, video e cartacei che troveremo durante le nostre indagini ci imbatteremo in frammenti di storia che, però, si rivelano poco approfonditi, lasciandoci con mille domande e pochissima soddisfazione. Scopriremo presto che in questa struttura i pazienti venivano sottoposti a misteriosi esperimenti relativi al mondo dei sogni, tuttavia le cose si sono concluse in modo perlopiù tragico. Solo verso la fine del gioco avremo un piccolo salto di qualità per quanto concerne il nostro coinvolgimento nella storia, ma si tratta sempre di uno svolgimento abbozzato e frustrante dal punto di vista del gameplay.
Gameplay vintage
Il gameplay ricorda in tutto e per tutto i classici giochi horror di qualche anno fa: stanze immerse nel buio, una torcia che illumina lievemente il nostro cammino e la ricerca di indizi sparsi tra cassetti, armadi e vecchi computer, con la costante sensazione di non essere da soli, generando in noi un sentimento di perenne ansia durante l’esplorazione. Ansia che, però, verrà presto rimpiazzata dalla noia, perché ci renderemo conto che sa tutto di “già visto” e gli elementi che potrebbero farci apprezzare di più il gioco non sono stati sfruttati abbastanza per essere memorabili. I jumpscare non mancano, ma sono prevedibili e, spesso, ci è capitato di mancarli: i principali elementi spaventosi che Anthology of Fear utilizza sono manichini che, seppur inquietanti, spesso appaiono improvvisamente nelle nostre vicinanze senza alcun effetto sonoro ad accompagnarli. Decidere di svoltare a destra invece che a sinistra, o di spostarci con lo sguardo del nostro personaggio rivolto altrove, è bastato per non notare i manichini o gli altri stratagemmi adottati per spaventare il giocatore, perdendo quindi l’occasione per mantenere il sentimento di inquietudine costante che dovrebbe caratterizzare questi tipo di giochi. Il “mostro” presente in Anthology of Fear, unico elemento di pericolo che potrebbe farci morire, sembra essere messo lì giusto perché agli sviluppatori avanzava un asset: non spaventa e nella maggior parte degli sporadici incontri che avremo con lui lo potremo semplicemente ignorare, fare spallucce e proseguire tranquilli nella nostra avventura.
Il gioco ci obbliga inoltre a tornare spesso, troppo, sui nostri passi: gli oggetti che raccoglieremo dovranno essere usati in altre stanze, quasi sempre già visitate in precedenza. Il fatto poi che gli ambienti di gioco sono praticamente identici fra loro rende il tutto pesante e noioso già dopo la prima mezz’ora di gioco, in cui ci ritroveremo a perderci tra i corridoi, le stanze e i manichini, alla disperata ricerca di quella stanza in particolare dove si trova il mangianastri o il computer che avevamo già esaminato. A tutto ciò si aggiunga che i nostri movimenti sono legnosi e la hitbox di alcuni oggetti interagibili è minuscola. Ad esempio, bisogna premere il pulsante esattamente sulla piccola maniglia del piccolo cassetto per poterlo aprire, e non su tutto il cassetto: considerando il movimento idle del nostro personaggio, spesso anche “mirando” correttamente nel minuscolo quadrato di pixel corretto non ci farà aprire il cassetto perché l’animazione sposterà Ethan lievemente, ma abbastanza per farci perdere il punto di trigger. È una piccolezza, ma considerando che dovremo aprire praticamente centinaia di cassetti per trovare tutti gli indizi, non può non essere menzionata.
In Anthology of Fear troviamo anche alcuni enigmi che inizialmente ci hanno lasciati spaesati e, finalmente, pensavamo di aver trovato un degno punto a favore in questo gioco. Purtroppo però, risolto un enigma, risolti tutti: sono infatti pochi e riciclati, ed è decisamente più difficile riuscire a trovare l’oggetto dell’enigma, piuttosto che capire cosa fare con esso. Peccato.
La versione da noi giocata, quella per PS4, permette il movimento dello sguardo di Ethan anche attraverso il touchpad, oltre che con la classica levetta destra. Questa opzione si è rivelata a dir poco fastidiosa, in quanto spesso è capitato di sfiorare accidentalmente quest’area ed ecco che lo sguardo del nostro personaggio cambia improvvisamente e parecchio più velocemente rispetto al movimento dato dalla levetta, facendoci credere di esserci imbattuti in un mostro o qualcosa di simile senza che ce ne accorgessimo. Il lato positivo? Ci siamo auto-regalati più jumpscare in questo modo che con il proseguimento del gioco!
Armi controcorrente
Verso la metà del gioco viene introdotta la possibilità di sparare con una particolare pistola. Purtroppo non ci viene spiegato come sparare, facendoci morire più volte nonostante premessimo tutti i grilletti del controller, che di solito vengono utilizzati per sparare in tutti i videogiochi che permettono di farlo. Invece, gli sviluppatori hanno deciso di assegnare il tasto X (su PS4) allo sparo, ovvero quello usato anche per interagire con i vari oggetti. Soluzione di certo controcorrente, ma che crea nel giocatore sconforto e confusione, dati anche dal fatto che due dei quattro grilletti non hanno alcun comando assegnato. Ancora ci chiediamo il perché dell’utilizzare un tasto già adibito per un’azione, quando ce n’erano ben due liberi e che, nella maggior parte dei giochi, sono usati per sparare.
Disastro su tutti i fronti
Anche per quanto concerne il comparto grafico, Anthology of Fear non riesce a brillare. I modelli 3D e l’illuminazione degli ambienti ci fanno sentire come se fossimo in un gioco horror di 10 anni fa. Se uniamo anche gli effetti sonori mancanti o comunque prevedibili, abbiamo un mix datato e decisamente poco memorabile. A ciò si aggiunge che la HUD di gioco, nascosta di default, ma che possiamo tenere visibile premendo uno dei grilletti del controller, viene aggiornata man mano che proseguiamo con la missione. Peccato però che se decidiamo di tenerla nascosta per non distrarci troppo dal gioco, saremo costretti a riaprirla continuamente per leggere le nuove informazioni aggiornate, dato che le scritte scompaiono decisamente troppo in fretta senza permetterci di terminare la lettura.
Per quanto riguarda il framerate, spesso e volentieri abbiamo riscontrato ingiustificati cali di frame, oltre al fatto che, su PlayStation4, il gioco è crashato due volte nel corso di due differenti cutscene, costringendoci a riavviare il gioco e a ricominciare dall’ultimo punto di salvataggio. Fortunatamente, i salvataggi sono automatici e avvengono ad intervalli piuttosto regolari, così non abbiamo perso troppi progressi.
Anthology of Fear è doppiato in inglese e interamente sottotitolato in italiano, nota senz’altro positiva soprattutto per un gioco indie (anche se alcune traduzioni non sono proprio corrette, ma nulla su cui non si possa chiudere un occhio).
Un progetto forse troppo ambizioso
Anthology of Fear è un progetto che avrebbe potuto decisamente fare di meglio. Ci abbiamo visto grandi potenzialità soprattutto a livello della trama che, se fosse stata meglio approfondita, avrebbe reso la breve esperienza di gioco (circa 3 ore) senz’altro più gradevole. Purtroppo i ragazzi di OhDeer Studio e 100 GAMES non hanno saputo sfruttare i punti di forza di questo gioco, regalandoci l’ennesimo gioco horror anonimo e facilmente dimenticabile.
The Good
- Trama interessante
- Sottotitolato in italiano
The Bad
- Comparto grafico datato
- Storia non approfondita, si perde il coinvolgimento del giocatore
- Non fa paura e spaventa poco
- Comandi mal sfruttati e movimenti legnosi
- Gioco-fotocopia degli horror di una decade fa