Epanalessi, geminatio o epizeusi?
Devo essere onesto: prima di scaricare il gioco da Steam non avevo la più pallida idea di cosa significasse il termine “epanalessi”. Per fortuna siamo nell’era di Google, ed una breve ricerca aiuta facilmente a far luce su questo primo mistero: dicasi epanalessi una figura retorica che consiste nel ripetere all’inizio, al centro o alla fine di una frase una parola o un’espressione per rafforzarne l’idea. Beh, direi che come titolo non capita spesso di avere a che fare con qualcosa di così raffinato e complesso. E naturalmente non è fine a se stesso, infatti il concetto è stato trasformato in gioco e impersonato alla perfezione da Rachel, Anthony e… un macchinario futuristico, ossia i protagonisti di questa cupa avventura grafica.
Philip K. Dick, sei proprio tu?
Una delle cose più belle della scena indie è la possibilità di sperimentare senza vincoli commerciali. Osare qualcosa di nuovo ed infrangere, per necessità o per virtù, le rigide regole non scritte dei vari generi videoludici. In questo caso Cameron Kunzelman, l’autore del gioco, si concentra principalmente sull’aspetto narrativo tralasciando quindi enigmi, puzzles, oggetti ed inventari.
In Epanalepsis impersoneremo tre personaggi che abitano nella stessa città… ma in epoche diverse. Il primo personaggio che incontreremo, quello degli anni 90, è Rachel, una ragazza disillusa e dedita all’alcool. Anthony, il secondo personaggio, vive nel 2010 in una società che potremmo comparare alla nostra, trascorrendo la maggior parte del suo tempo all’interno di un non-meglio-precisato gioco di ruolo online. Infine faremo la conoscenza di un robot dell’anno 2030.
Tre personaggi e un destino comune per una premessa narrativa di tutto rispetto.
Pixel futuristici
Se è vero che l’autore ha puntato tutto sull’aspetto narrativo, curato a dovere, purtroppo lo stesso non si può dire della grafica. La pixel art è sicuramente una moda piena di fascino che non sparirà mai, ma in questo caso gli ambienti spogli e poco curati si riflettono in negativo sul mood generale del gioco e non aiutano il giocatore a immergersi a dovere nella storia. Così come si stenta ad entrare in sintonia con i personaggi, alcuni di quali veramente poco caratterizzati. La mancanza di dettagli non è sempre un male, ed esempi come The Last Door lo dimostrano pienamente, ma in questo caso le qualità grafiche non sono all’altezza delle aspettative e rovinano in parte l’esperienza. Anche il font utilizzato per i dialoghi, veramente grande, rispetto a quello invece utilizzato per quando il cursore del mouse si posiziona sui vari hotspot, veramente piccolo, potrebbero dare fastidio a lungo andare.
Discorso inverso invece per la colonna sonora, apprezzabile e appropriata ai vari contesti. Di sicuro uno dei punti di forza della produzione. Gli effetti sonori invece sono limitati al minimo.
Try again…
Un’ottima storia tutta da vivere, condita da un sottofondo musicale adeguato, rovinato in parte da una grafica forse troppo minimal. Un gioco comunque apprezzabile nonostante non riesca ad esprimere tutto il suo potenziale. Forza Cameron: aspettiamo il tuo prossimo gioco!