Donkey Kong Bananza

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Donkey Kong Bananza

Sono ormai passati almeno 26 anni dall’ultimo Donkey Kong in tre dimensioni. Sembra, in effetti, solo ieri quando, all’epoca, avevamo investito ore del dopo scuola a giocare con Donkey Kong, Dixie, Diddy Kong e tutta la famiglia di scimmioni. Sviluppato all’epoca da Rare Ltd., prima di essere acquisita da Microsoft, il gioco ebbe molto successo proprio per il suo gameplay platform/avventura di una certa profondità, simile appunto ad altri capostipiti del genere piattaforma di fine era anni ’90 come Banjo Kazooie o Conker. Donkey Kong Bananza debutta oggi in un’epoca in cui i PC possono raggiungere l’ultra HD o il Full HD con settaggi grafici alti in tutte le fasce hardware (Desktop e non) e in una generazione dove il gaming da salotto sta affrontando alti e bassi.

È sotto gli occhi di tutti che alcune produzioni di un certo calibro faticano a restare al centro dell’attenzione per lungo tempo o ad accumulare introiti tale da proporre seguiti e garantire un posto di lavoro. Effettivamente, basta riflettere sui numerosi licenziamenti intervenuti nel settore, in ultimo presso la casa di Redmond, o il successo apparente di alcuni titoli ma sui cui è sopraggiunto, o sta sopraggiungendo, un inesorabile declino (live service come Destiny 2). Fallimento di alcuni generi che, a stento, permettono agli sviluppatori di sopravvivere in un settore sempre più competitivo e in una crisi senza precedenti. Fra costi di sviluppo alle stelle e profitti non più come quelli di dieci anni fa, è difficile trovare oggi un videogioco che tenga veramente incollato allo schermo. Un andazzo che sta effettivamente toccando anche il mondo Nintendo (basti pensare il prezzo per gioco della nuova console). Cercheremo oggi tuttavia di dare un’opinione della nuova esclusiva targata Nintendo indipendentemente dalle regole di mercato e delle politiche di prezzo (pur discutibili) della casa di Kyoto. Fatta questa premessa, Nintendo sopravvive e prosegue con la sua strada, proponendo una Switch 2 che sì, è la reincarnazione della precedente generazione, ma al col tempo offre stavolta una potenza sufficiente per superare alcuni dei limiti più evidenti che affliggevano le ultime produzioni della passata generazione nintendiana.

Invoglia a giocarlo solo a guardarlo…

…è stata subito la nostra reazione dopo il corposo trailer del Nintendo Direct dedicato dello scorso giugno. Dopo aver letteralmente spolpato Mario Kart World, e in seguito al presente test di Donkey Kong Bananza, la direzione adottata da Nintendo appare lapalissiana: ovvero il continuo miglioramento del character design e delle loro animazioni sotto ogni punto di vista. Insomma, già all’epoca The Legend of Zelda Wind Waker su Gamecube sotto questo aspetto aveva qualcosa di spettacolare, e nell’era recente di Switch titoli come Xenoblade Chronicles 3 offrivano una caratterizzazione dei personaggi e delle espressioni ai massimi livelli, se tenuto anche solo conto dell’hardware “modesto” su cui giravano gli appena menzionati titoli. Eppure, con Donkey Kong Bananza si intravede qualcosa di ancora diverso che porta la caratterizzazione del mondo Nintendo, del suo universo e, contestualmente, dei suoi personaggi su ancora un altro (alto) livello. Personalmente (lo scrivente Pusti), sono passato dal videogiocare molti titoli assai superficialmente negli ultimi anni, a perdere letteralmente ore dall’uscita di Nintendo Switch 2, sia con Mario Kart World che con l’attuale Donkey Kong Bananza (ad eccezione di alcune altre recenti perle rare, come Clair Obscure Expedition 33). Ciò per dire che, a un mese dal lancio di Nintendo Switch 2, non ci siamo mai stufati di giocare al nuovo software nintendo (qui la nostra recensione di Mario Kart World) come non ci siamo per niente stufati nel vedere il faccione tanto tenero quanto goliardico del nuovo Donkey Kong durante le ultime due settimane di test. In effetti, più proseguiamo, e in procinto di concludere, la storia di Donkey Kong Bananza, maggiore è la sensazione di aver riscoperto un vecchio amico che nella nostra quotidianità mancava.

Non solo, quindi, il piacere di finalmente giocare, divertirsi e dimenticare di quello che sta fuori dalle quattro mura di casa propria, ma apprezzare finalmente un videogioco nella sua forma più pura. Perché è quello che è Donkey Kong Bananza, un tripudio di gameplay, grafica, sonoro, level e character design semplicemente al limite della perfezione, al punto di perdere la cognizione del tempo talmente è fatto bene, che solo un lavoro certosino di un team di sviluppo interno come quello di Nintendo EPD (per intenderci, nata dalla fusione dell’allora EAD e Nintendo SPD) poteva concepire (per intenderci, gli stessi dietro a Super Mario Odyssey per Nintendo Switch rilasciato nel corso del 2017). In breve, e scritto in parole povere, sembra effettivamente di giocare a un gioco con la grafica di Super Mario Bros il film uscito nel 2023 o a un qualsiasi film Pixar di ottima fattura. Nintendo sta investendo nell’animazione, e in Donkey Kong Bananza si vede il frutto di questo ramo che, se sembrava una costola dell’attività Nintendo (Film d’animazione), ora sembra fondersi all’attività principale videoludica, dando vita a un qualcosa di veramente fantastico da giocare. Con Nintendo Switch 2, l’hardware permetterà e contribuirà a canalizzare la fioritura del campo dell’animazione Nintendiana in first party che trascendono al semplice miglioramento grafico ma titoli che, con le loro espressioni, raccontano storie semplici ma d’impatto. Ma vediamo i dettagli.

Finalmente Donkey Kong torna protagonista in un gioco platform “à la Super Mario Odyssey”

La storia di Donkey Kong Bananza non è certamente da oscar: resta semplice e si lascia raccontare tramite il gameplay, come ogni buon titolo del genere piattaforma. Il nostro simpatico gorillone deve scongiurare i piani della Void Company, un’impresa mineraria che ha messo gli occhi sulle gemme di Banandium, tesoro nascosto nella Lingottisola. Dopo che Donkey Kong (DK) viene letteralmente catapultato nel mondo sotterraneo, per sconfiggere il malvagio team egli deve raggiungere il nucleo del pianeta. Durante il suo viaggio, DK è accompagnato da una parlante e bizzarra roccia che si rivelerà essere la cantante Pauline…da giovane e alla sola età di 13 anni. Spetta quindi al nuovo duo aiutare gli abitanti del sottosuolo e mandare all’aria della Void Company per ritornare, insieme, in superficie. La trama è relativamente semplice nella sua narrazione, e si vede anche come le conversazioni, pur elaborate, vengono proposte come in un film dedicato ai più giovani. Per i più veterani, tuttavia, la logorroica Pauline entrerà subito nei nostri cuori, non solo per il suo aspetto assai “cute”, ma proprio per la sua maniera di porsi. Nel suo insieme, sembra di vedere similitudini con la fata Navi, ma più simpatica e meno snervante. In effetti, maggiore è il tempo che abbiamo investito in questo titolo, più abbiamo la sensazione che DK e Pauline ricordano un altro famoso duo di inizio era anni novanta, ovvero Yoshi e Baby Mario in Super Mario World 2: Yoshi’s Island, gioco platform bidimensionale uscito, all’epoca, nel 1995 sul Super Nintendo Entertainment System (SNES). Chiusa questa parentesi, il completamento della trama principale, se raccolti anche la maggior parte dei collezionabili, richiede più o meno dalle 25 alle 30 ore e qualcosa in più, nella media se non qualcosa di più per il genere in questione. La trama scandita dall’esplorazioni dei livelli vede nel suo cast anche tanti personaggi cameo, come si evince dal trailer di presentazione del gioco in cui appaiono Dixi, Diddy o il veterano Cranky Kong e il rinoceronte Rambi. Parlando di codesta tematica, la modalità DK Artist è chiaramente un riferimento alla schermata iniziale di Super Mario 64, mediante la quale i giocatori possono scolpire vari materiali o dipingere modelli in tre dimensioni con un livello di libertà che ricorda, per l’appunto, il gioco uscito all’epoca del Nintendo 64.

DK e il concept della distruzione

DK non è solo un brand legato al genere piattaforma bidimensionale, e con l’arrivo di Donkey Kong Bananza, Nintendo ha desiderato modificare, oltre al character design, lo stesso concept dietro al simpatico scimmione. Il concept della “distruzione” introduce quindi una meccanica che, nel mondo del Regno dei funghi, non si era ancora vista ma che, grazie agli sviluppatori Nintendo, calza decisamente a pennello. La tecnologia alla base di questa distruzione è quella Voxel: se un quadrato di un’immagine bidimensionale viene chiamato pixel, quando la stessa idea viene estesa alle tre dimensioni, ogni cubo prende il nome di voxel. Si tratta quindi di piccoli cubi che, uniti, possono dare vita e definire l’aspetto estetico del terreno, degli oggetti e di molti altri elementi su schermo, ma anche modificarne le caratteristiche come i materiali impiegati. Proprio questa flessibilità ha permesso di definire con precisione l’aspetto e le proprietà fisiche di ogni elemento, consentendo una distruttibilità avanzata che va oltre la semplice “rottura”. L’esempio in-game fin dal primo livello della laguna è il materiale della “sabbia” o “terra”, che reagisce in modo unico sul mondo circostante, influenzando di riflesso lo stesso gameplay. Ciò ha permesso un approccio di creazione di terreni complessi ma anche dettagliati: la roccia, ad esempio, si spaccherà in modi specifici e potrà essere usata per “surfare” sul terreno grazie alla sua resistenza, mentre la sabbia è friabile ma perfetta da lanciare e “attaccarla” altrove e su altre superfici. Inoltre, Watanabe-san ha sottolineato come il team EPD si sia focalizzato non solo sulla superficie dei livelli, ma anche sulla loro profondità. L’intera struttura del terreno è stata progettata in modo che, una volta distrutta o scavata, l’aspetto e le proprietà fisiche degli strati sottostanti cambino dinamicamente, amplificando così la sensazione di una distruzione realistica e convincente.

Un duo insolito dotati di poteri canori

Arrivati nel regno sotterraneo, la nostra avventura comincia nel livello della Laguna, dove il giocatore verrà accompagnato nell’imparare le mosse base di Donkey Kong. Tutto quello che si vede, o meglio, la maggior parte, può essere distrutta dai nostri pugni, e non solo. Se, da un primo approccio, la questione distruzione può sembrare dispersiva, dall’altra si vede come Nintendo abbia disegnato ogni Level Design per così guidare il giocatore nella distruzione. Ci piace pensarla così: Donkey Kong Bananza è stato concepito per offrire una distruzione “sensata” del livello di gioco; così facendo il giocatore non solo scopre le gemme di Banandium (su cui ci ritorneremo tra poco), ma trova anche altri collezionabili da scambiare in appositi negozi per ottenere abiti che conferiscono potenziamenti. Oltre alla valuta classica dell’oro per acquistare oggetti utili come il palloncino o il succo di mele (per recuperare l’intera vita nel caso si perdessero tutti i cuori), i fossili trovati sono particolarmente utili e invogliano il giocatore a trovarli tutti. In effetti, quest’ultimi non solo sono “moneta di scambio”, ma permettono anche di potenziarli. Abbiamo così a disposizione diverse combo; la mia preferita è quella della Cravatta del tesoro (per trovare maggiori forzieri), i jeans da nuoto (per nuotare velocemente, utili nel primo livello) e il colore della pelliccia verde brillante. Anche Pauline vanta un vasto vestiario; tra i più utili spicca la tenuta rodeo gialla che permette all’effetto Bananza di durare più a lungo. In sostanza, ogni indumento andrebbe adattato al livello per ottenere il massimo di bonus su determinati terreni. Le “Bananza”, in questo titolo, sono i power-up di Donkey Kong che gli permettono di trasformarsi, se sbloccati, nella forma animale dei Venerabili incontrati per strada (sorte di anziani del villaggio di una certa possanza e con la passione per le jam session). Nel primo livello, abitato dalle scimmie, DK ottiene il Bananza Kong, una trasformazione che permette di distruggere con più facilità il livello e abbattere con facilità alcuni nemici ricoperti da un materiale più resistente. La Bananza viene attivata dalle doti canore di Pauline, la quale canterà un’inedita canzone per ogni diversa forma ottenuta da DK. La trasformazione Bananza (che include anche uno struzzo per planare e una Zebra per correre veloce sugli specchi d’acqua) può essere potenziata grazie alle gemme di Banandium, le quali, ogni cinque banane, sbloccano un punto abilità. Ebbene, il punto abilità può essere investito nelle trasformazioni Bananza, nelle mosse base di DK, o anche nelle abilità passive come il totale di cuori a disposizione o nella potenza effettiva dei suoi pugni. A differenza delle Lune di Super Mario Odyssey, si vede l’investimento di Nintendo nell’assurgere i collezionabili a strumenti di potenziamento utili, senza limitarsi alla semplice e pura raccolta. Insomma, il cuore del gameplay esplorativo di Donkey Kong Bananza legato alla distruzione è dannatamente ben fatto e può, per così dire, essere una specie di incubo (in senso paradossalmente positivo) per i feticisti del completismo come lo scrivente. Ad ogni modo, Il level design è stato concepito per permettere di far sposare il concetto di distruttibilità e il classico “percorso guidato”. In altre parole, spetta al giocatore decidere come esplorare i livelli, se nella maniera più “classica” del termine o spaccando letteralmente tutto. I livelli e i rispettivi substrati sono progettati per essere piacevoli anche se giocati in modo convenzionale, ma la loro vera forza risiede nella piena flessibilità di distruggere tutto ciò che li circonda. Tuttavia, l’esplorazione mediante la distruzione appare in ogni caso necessaria al fine di raggiungere alcuni collezionabili, come sfondare muri o scavare lunghi tunnel al fine di accedere alle gemme di banandium o ai fossili. Ma vi è, ovviamente, di più.

Un bell'”incubo” (o sogno) per i giocatori completisti

La ricerca dei collezionabili non si limita solo a distruggere quello che ci capita davanti. O meglio, all’inizio sembrerà così ma ben presto si scopre che ogni livello ha qualcosa di più profondo del semplice spaccare tutto quello che ci circonda. In effetti, in Donkey Kong Bananza si nota come la perizia di Nintendo nel curare il level design la fa da padrona in ogni “strato” di mappa esplorabile. Donkey Kong Bananza offre dei livelli Open-Map piuttosto che Open World in senso classico. Ognuno è suddiviso da uno a tre diversi strati. Il livello del Canyon, ad esempio, presenterà in superficie il canyon vero e proprio e, nel suo substrato, una raffineria in cui vengono creati materiali pregiati. Il livello della Laguna, il primo che il giocatore affronterà nel suo arrivo nel mondo sotterraneo, è invece composto da un primo strato di classica roccia per poi procedere a un livello composto prevalentemente di acqua. Vi sono sfide di combattimento nascoste nelle macerie distrutte dal giocatore. A volte si tratta di affrontare nemici tradizionali, altre volte di ingegnarsi sfruttando i materiali che li ricoprono, e altre ancora di lasciarsi cadere in livelli a scorrimento bidimensionale ma verticale, sempre con lo scopo di sconfiggere gli avversari. In altri punti, una porta triangolare conduce a sfide dedicate all’esplorazione (e non solo) che contengono almeno tre gemme di Banandium. Queste sfide possono essere tematizzate, incluse quelle con scenari a scorrimento orizzontale ispirati a Donkey Kong Country, riprendendo così il genere piattaforma nel suo senso più classico. Altre sfide di esplorazione possono offrire meccaniche inedite, come creare dei coni gelato e “consegnarli” agli abitanti rocciosi del mondo sotterraneo, oppure sfruttare determinati materiali per superare dei fili spinati, o ancora distruggere intere costruzioni in un lasso specifico di tempo. Nella mappa di gioco, invece, le gemme di Banandium possono essere ottenute sia esplorando e distruggendo come se non ci fosse un domani, sia compiendo alcune missioni secondarie, come il nascondino o la ricerca dei pezzetti viventi rocciosi che compongono gli abitanti rocciosi del sottosuolo. In merito al Level Design, come da tradizione Nintendo ogni livello ha la sua tematica e la propria biodiversità, nonché una razza animale da cui è popolato. Il livello del Ghiacciaio è freddo e vede le zebre come protagoniste, esperte di gelati e di sport, mentre il livello della Foresta è invece popolata dagli struzzi, abili albergatori e planatori in cui al centro, oltre ad esserci una fitta foresta, vi è un resort di lusso con tutti i comfort. Insomma, da fare nei differenti livelli ce n’è, e anche parecchio. Per come è strutturato il Level Design, la ripetitività di alcune attività non pesa sull’esplorazione, anzi, invoglia a scoprirne sempre di più. Altri livelli, come quello del circuito, si concentra esclusivamente sull’attività della corsa su Rambi, lo storico rinoceronte della saga di Donkey Kong fin dai tempi del Gameboy/SNES. In effetti, in ogni livello c’è sempre qualcosa di nuovo da scoprire: sia per le trasformazioni Bananza sia per le meccaniche uniche che queste introducono.

Sembra di giocare a un film di animazione della Pixar

Lato grafica, nota d’onore è, come menzionato poco sopra, il character design dei due protagonisti DK e Pauline, in particolar modo per quanto riguarda le animazioni. Le espressioni di DK parlano da sole e sono veramente molto ben fatte, mentre Pauline ha diverse pose e un movimento labiale e degli occhi sorprendente, nonché una voce italiana che si sposa perfettamente con il personaggio dandole un carattere deciso e perfetto per una giovane cantante, merito della brava Kate Higgins ma, soprattutto perché noi l’abbiamo giocato soprattutto in italiano e in tedesco, merito della doppiatrice italiana Giulia Maniglio, per intenderci la voce di Iris nel famoso anime Fire Force. La voce inglese del cantato è perfetta per la colonna sonora che, piccola parentesi, è una colonna sonora degna di un film di un certo calibro in ogni sua traccia. Insomma, come in Mario Kart World, la componente musicale è, oltre all’animazione, al centro dei nuovi investimenti Nintendo capace di accompagnare per tutto l’arco dell’avventura con un effetto wow continuo. Ciò scritto, appare a nostro parere manifesto la cura grafica e sonora sotto quasi ogni aspetto, che assurge l’esperienza videoludica in qualcosa senza precedenti per il genere platform. Il Voxel adottato per creare il mondo di gioco, il framerate praticamente granitico in ogni (quasi) situazione, l’illuminazione generale e la cura nei dettagli rende questo first party un piacere per gli occhi. Donkey Kong Bananza dà però il suo meglio in modalità portatile, in cui in nessuna delle situazioni concitate da luogo a dei brevi cali di framerate come in modalità docked. Vi sono in effetti alcune situazioni o costellazioni in cui il gioco ha dei cali di framerate in modalità TV che, stranamente, non si produce per nulla in modalità portatile. Per la maggior parte di questi rallentamenti, sembra in effetti più un problema di ottimizzazione che di rallentamenti voluti. In altre parole, si, vi è effettivamente solo un livello in cui i rallentamenti sono più frequenti (di cui non parleremo per evitare spoiler) in cui si nota che la console fa fatica a elaborare tutto quello che si sta producendo su schermo. Ciò scritto, per gli altri altri micro-rallentamenti in cui la console non sta elaborando granché su schermo (parliamo di al massimo 1-2 secondi a stare larghi) la questione sembra verosimilmente essere una questione di ottimizzazione. In sostanza, siamo in presenza di cali simili alla foresta Kokiri di The Legend of Zelda: Breath of the Wild o dell’ultra mano di Tears of the Kingdom? Per nulla, l’hardware di Nintendo Switch 2 sembra essere molto più in forma in confronto a quello che era la prima Nintendo Switch nel 2017 sotto questo aspetto.

Concludendo, Donkey Kong Bananza è un tripudio di colori, puro divertimento e un’avventura che finalmente rende giustizia a uno dei personaggi un po’ dimenticati negli ultimi anni in quel di Kyoto. In effetti, si vede tantissimo il frutto di anni d’esperienza del team di sviluppo che, grazie al suo Know How del genere platform e autori di Super Mario Odyssey, hanno elevato, ancora una volta, il genere con uno titolo che si presta ad essere un potenziale candidato per il GOTY di quest’anno. In altre parole, Nintendo EPD è stata capace di fondere in un solo titolo un sacco di gameplay, grafica al passo con i tempi con animazioni cinematografiche, trama semplice ma apprezzabile e una colonna sonora fantastica intrecciandole fra loro in maniera magistrale tanto che il giocatore, una volta immerso, non si rende conto di accumulare, in brevissimo tempo, ben 15 ore di gioco senza sentire nessun tedio. Trovare un difetto è veramente come cercare un ago in un pagliaio, e l’unica forse critica sono gli sporadici micro-rallentamenti ma che non compromettono l’esperienza di gioco.

The Good

  • Il nuovo stile di Donkey Kong, accompagnato dalla giovane Pauline, è semplicemente sublime
  • Livelli stratificati con tante attività, mai stancante e una distruzione non dispersiva
  • Colonna sonora di alto livello, grafica e direzione artistica magistrale e animazioni degne di un lungometraggio animato
  • Gameplay fresco e in pieno stile Platform nintendiano
  • DK Artist urla Super Mario 64 da tutti i pori

The Bad

  • qualche calo sporadico di framerate in modalità docked
6

Written by: Pusti

Avvocato, sportivo e gaymer. Tra le varie passioni e attività, quella relativa ai videogiochi e al divertimento ludico da tavolo (boardgame) è intramontabile. Fedele al marchio Nintendo, giocatore su PC e amante del VR senza fili (Oculus Quest), Pusti è uno degli storici redattori di Joypad.ch

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