Con questo articolo voglio presentare una recensione incrociata di « The Theory of Everything » e « The Imitation Game », film che possono apparire molto simili essendo entrambi sostanzialmente biopic di scienziati famosi.
Cultura e società si evolvono, ma il bisogno di eroi rimane, il concetto di eroe deve quindi necessariamente adattarsi a ciò che il mondo richiede. Intelligenza e forza di volontà sono caratteristiche sempre più esaltate nel nostro ideale di essere umano, che perde quindi gli attributi di pura forza e possenza fisica per lasciare spazio alla fragile e controversa figura dello scienziato.
Praticamente nello stesso periodo sono usciti questi due film basati sulla vita difficile di uomini dediti alla scienza, mi riferisco ovviamente a Turing e Hawking. La cosa che mi ha colpito è che oltre ad essere ovviamente simili come impostazione e soggetto, anche il tema fondamentale sembra essere lo stesso: il diverso. Argomento che negli ultimi tempi è stato quasi banalizzato nell’esaltarlo con l’affermarsi della cultura nerd (vedasi “The Bing Bang Theory”).
Paradossalmente i due film lo presentano in maniera opposta, “The Theory of Everything” mostra come un uomo possa compiere qualcosa di straordinario nonostante i propri impedimenti, mentre the “Imitation Game” come l’essere diverso sia fondamentale per poter rinnovare del mondo. Hawking viene trattato in maniera umana, ma il suo lato di scienziato passa decisamente in secondo piano rispetto alla malattia, vero tratto centrale del film assieme alla figura della moglie, in alcuni punti vera protagonista del fim. Ovviamente è una scelta, ma dalla storia di un personaggio di questo calibro mi aspettavo un occhio di riguardo maggiore, spesso infatti si ha la sensazione che la sua figura si ritrovi ridotta dalla tragedia che sta affrontando e dalla sua strenuante lotta alla vita in una macchietta patetica.
Il film scorre lento, con alcuni momenti particolarmente forzati sull’incubo del perdere lentamente il controllo sul proprio corpo. Con forzati intendo rindondanti, spesso fastidiosi, carichi di un pathos stereotipato che poteva essere evitato anche solo per rendere il tutto più scorrevole. Vorrei sottolineare come ciò che il film evidenzia potrebbe applicarsi a qualunque uomo che sia riuscito a realizzare qualcosa nonostante le difficoltà.
Questo è il messaggio principale che ho recepito, non c’è molto altro che renda grande il protagonista se non la sua incredibile forza nell’aggrapparsi alla vita e ad andare avanti. Ma questo non mi soddisfa, non trovo che sia abbastanza, perché appena usciti dalla sala ci si continua a domandare, ma alla fine questo Hawking che ha fatto? L’unica immagine che rimane di lui è la stessa che il telespettatore medio aveva prima, ossia un uomo paralizzato famoso che parla attraverso un computer, incredibile, ma ce n’era davvero bisogno?
“The Imitation Game” gioca invece altre carte incentrandosi su un particolare periodo della vita del protagonista, come questi sia riuscito decifrare Enigma, un codice attraverso cui i nazisti cifravano tutte le comunicazioni, permettendo così agli alleati la vittoria. Ho letto di molte critiche ad una interpretazione quasi « Sheldoniana » o « Sherlockiana » di Turing, ma non mi trovo d’accordo, penso che Cumberbatch abbia compiuto il suo dovere egregiamente, va considerato comunque che non è certo la prima volta che si ritrova ad interpretare un genio sociopatico e che i rimandi al suo Sherlock sono inevitabili, faccia e espressioni non possono fare a meno che essere quelle, ma la fragilità e lo spessore del personaggio mi hanno ricordato per molti aspetti più il John Nash di Russell Crowe in « A Beautiful Mind » soprattutto nella sua incapacità a comunicare con gli altri. La storia di Turing tratta ovviamente l’omosessualità, non può che esservi amarezza per la situazione, ma non viene affrontata come una tragedia, piuttosto come un’ennesima incapacità e cecità della massa, causa di inutili sofferenze.
Ciò che viene trasmesso è soprattutto una rabbia per la superficialità di chi non è in grado di riconoscere il potenziale fermandosi davanti a ciò che appare. Mentre quasi nessuno sembra dubitare che Hawking sia un genio, lo stesso non si può dire per Turing che deve continuamente lottare per portare avanti la sua passione. E’ proprio questa fiamma ciò che manca a “The Theory of Everything”, non perché manchi nel soggetto ovviamente, ma nella struttura del film, che lo soffoca per suscitare lacrime facili.
In sostanza nessuno dei due film porta nulla di innovativo al panorama già saturo e stanco del cinema moderno, ma entrambi si rivolgono ad un fenomeno sempre più pressante e difficile da ignorare: non è più il muscolo, il bullo, il conforme a contare, i vecchi eroi necessitano una ridefinizione, è giunta l’ora del nerd.